Il 20 e 21 luglio 2018 Flavio Solo e una rappresentanza del team di Muri Sicuri sono arrivati a Matelica.
A seguito dei proventi raccolti durante la II edizione della Manifestazione di Street Art e beneficienza, l’Associazione ha deciso non solo di consegnare i fondi dov’erano stati destinati, e cioè al Museo Piersanti di Matelica, ma anche di realizzare un’opera in loco. Per farlo, è stato scelto Braccano, il “paese dei Murales”, una piccolissima frazione di Matelica, famoso per i suoi mural sulle facciate delle case e perfetta per ospitarne uno nuovo realizzato a cura di Muri Sicuri da FLAVIO SOLO. Già autore di una delle due opere che sono servite alla raccolta fondi durante l’evento, Solo ha avuto la possibilità di lavorare sulla parete del Museo della Resistenza di Braccano grazie al Comitato di Braccano e in particolare a Cristina Ponzani.


La storia della Resistenza a Braccano e nelle aree limitrofe è davvero incredibile ed egregiamente raccontata nelle sale del Museo. Questo è per sommi capi quello che abbiamo imparato grazie alla visita nelle sale
Dopo l’Armistizio con gli alleati, la situazione dei soldati italiani è allo sbando. Alcuni vengono catturati e deportati dai tedeschi, altri riescono a mettersi in fuga. Tra questi ultimi alcuni riuscirono a ricompattarsi e organizzarsi in diverse parti del territorio per continuare a combattere i nazisti.
Pochi giorni dopo l’armistizio, nel Settembre del 1943, i Nazisti arrivano a Matelica. Occupano il Municipio e alcune caserme, bandiscono ribelli e “traditori” e minacciano chiunque li aiutasse. Gli stessi ribelli, radunatesi nelle montagne, cominciano a organizzarsi per una rappresaglia. Uno di questi gruppi organizzati di partigiani era il ROTI, 5° brigata Garibaldi, con l’incarico di controllare Roti, Braccano e Vinano, un altro è il Battaglione MARIO (dal nome del Comandante della stessa: Mario Dapangher).
La scelta di luoghi impervi era strategica per meglio affrontare l’organizzatissimo esercito nemico. Andandosi a strutturare e maturando nel tempo, il GRUPPO ROTI contava ad ottobre del 1944 ben cinquanta membri: trenta tra inglesi e slavi e il resto italiani. Il gruppo, coordinato con altri sul territorio, doveva monitorare la zona, raccogliere informazioni, trovare il sempre scarso cibo e le armi.
La cosa più straordinaria però è che entrambi i battaglioni si distinguevano per la presenza di etiopi, somali ed eritrei tra le loro fila.
Grazie allo storico Matteo Petracci, che ne parla nel suo ““Partisan, Partizan, Partisaanka”, sappiamo che nei battaglioni delle aree attorno a Braccano si parlavano almeno otto lingue diverse, si professavano tre religioni (cristiana, ebraica e musulmana) non contando quelli che professavano…nulla!


Ma com’erano finiti qui questi partigiani africani? Abbiamo scoperto che arrivarono in Italia per la Prima Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare a Napoli, inaugurata dal Re nel Maggio del 1940 e chiusa e smantellata appena un mese dopo, per via dell’entrata in guerra dell’Italia. Per realizzarla erano stati portati in Italia circa cinquanta coloni che dovevano funzionare come figuranti: la maggioranza dalla PAI, la Polizia dell’Africa Italiana, ma c’erano anche donne e bambini.
Da quel giugno 1940 fino alla primavera del ’43, non si è più saputo molto sulla sorte di somali, eritrei, etiopi e libici della Triennale d’Oltremare. È proprio a partire dalla primavera del ’43 che appaino nuove notizie: i documenti (atti di nascita dei coloni) ci dicono che erano finiti proprio nelle Marche, a Treia, in provincia di Macerata più precisamente nelle scuderie di Villa La Quiete (o Villa Spada). Si trattava di un vecchio campo di internamento chiuso nel ’42 dopo un incendio dal quale, non è difficile immaginarlo, i coloni non volevano altro che scappare. L’occasione per la fuga sono i movimenti partigiani che seguirono all’8 settembre del ’43. I battaglioni Roti e Mario, assaltano a Villa Spada a fine di Ottobre del ’43 e da quel momento, nelle brigate della zona, oltre a russi, australiani, francesi, jugoslavi e britannici cominciano a combattere anche africani, in particolare somali, etiopi ed eritrei. Di loro si sa pochissimo ma grazie alle ricerche di Matteo Petracci sono stati identificati Carlo Abbamagal, morto il 24 novembre 1943 e tumulato a San Severino (gruppo MARIO) e Adem Shire Giama (GRUPPO ROTI). Altri due somali, Raghè Mohamed e Thur Nur sono menzionati nel monumento ai caduti a Braccano e molto probabilmente presenti nel gruppo ROTI.
Tutti loro parteciparono agli eventi che precedettero l’eccidio.
A causa della sempre più consistente efficacia delle azioni del gruppo, il comando tedesco definì in un Manifesto gli abitanti di Matelica come una “massa di bringanti”. Don Enrico Pocognoni era tra questi, parroco di Braccano dal 28 Febbraio del 1943. Dopo ripetuti attacchi, il 24 Marzo 1944 i tedeschi ne sferrano uno definitivo: circa 2000 uomini circondano le aree del San Vicino ad est e ad ovest. Qualcuno sospetta il tradimento, visto che proprio in quei giorni, a causa del freddo, i gruppi di partigiani erano scesi a valle e si erano radunati nell’area di Braccano, poco sicura e facilmente raggiungibile. L’attacco dei tedeschi fu violentissimo: Don Enrico venne ucciso dopo essere stato umiliato e torturato e così altri 15 partigiani e alcuni contadini di Valdiola e Braccano. Un mese dopo, il 26 Aprile, le stesse zone subirono un nuovo attacco e altri morti. La caduta di Roti lasciò scoperta la località di Valdiola, nella quale avevano ripiegato gli uomini del battaglione Mario che subirono ulteriori perdite e danni.
Questa storia di coraggio, integrazione e resistenza è stata fonte d’ispirazione per l’artista SOLO che dopo aver dipinto dei supereroi multietnici a Torpignattara, ha deciso d’ispirarsi proprio alle vicende dei somali, etiopi ed eritrei che hanno combattuto per la nostra liberazione.
Dopo due giorni di intenso lavoro, ecco apparire sul muro del Museo della Resistenza di Braccano Il maestro Jedi di Flavio Solo. Questo coraggioso combattente condivide molto con gli eroi della resistenza: colore della pelle, coraggio e determinazione. Con la sua spada difende l’ingresso al paese, al museo, la libertà e i valori di questa comunità.
È il simbolo di un’unione che ci preme ribadire e ricordare oggi più che mai.
Realizzato con le bombolette a spray, lo Jedi ha un ombra “stellare” che proietta la dimensione del piccolo museo in un universo più grande perché è proprio questo il valore delle azioni di chi ha perso la vita per difenderci, universale.
Per approfondire la storia dei Partigiani d’Oltremare:
- Petracci – La liberazione interrotta. Lettere dal carcere di un partigiano etiopico, in “Mondo Contemporaneo”, n. 1/2017
- Petracci – I neri della PAI. Dalla Mostra delle Terre italiane d’Oltremare alla Resistenza, in C. Donati, T. Rossi (a cura di), Guerra e Resistenza sull’Appennino umbro-marchigiano. Problematiche e casi di studio, Editoriale umbra, Perugia 2017; o in E. Bressan et alii, (a cura di), Storie di donne e di uomini tra internamento e Resistenza nelle Marche, EUM, Macerata 2017.
VIDEO SU LA BANDA MARIO:
http://www.storiamarche900.it/main?p=storia_territorio_valdiola
https://www.facebook.com/tg3rai/videos/664471270671121/?v=664471270671121
https://www.mcnet.tv/san-severino-marche-matteo-petracci-racconta-la-banda-mario/
https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/02/partigiani-africani-a-macerata/
https://www.wumingfoundation.com/giap/2015/01/carlo-abbamagal-e-i-cinquanta-delloltremare/








